HOME     
     
LA VITA
Il 18 giugno 1961 muore la madre di Dino Buzzati, Alba Mantovani. Per lui, che le era sempre vissuto accanto, è una perdita molto dolorosa e difficile da accettare. La scomparsa gli lascia una scia di rimorsi e tormenti confessati pubblicamente due anni più tardi sulle colonne del «Corriere della Sera» nell’elzeviro «I due autisti». Chiedendosi quali discorsi avessero fatto i conducenti del carro funebre che trasportava il feretro della madre da Milano al cimitero di Belluno, nella tomba di famiglia, Buzzati si abbandona a un sincero e struggente esame di coscienza, mettendo a nudo i sentimenti più personali. L’anno dopo lo scrittore si trasferisce in un appartamento in viale Vittorio Veneto 24, nella Casa della Fontana di proprietà della famiglia Crespi, dove abitano già il fratello Augusto e la sorella Nina con il marito Eppe Ramazzotti. Nell’aprile 1963 esce il romanzo «Un amore» che racconta i tormenti sentimentali di un architetto quarantanovenne, Antonio Dorigo, per una ragazzina squillo, Laide, ballerina alla Scala. La storia è in parte autobiografica, ispirata a una relazione difficile e tormentata vissuta in prima persona dall’autore tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Il personaggio femminile si rifà a una giovane donna, S.F., conosciuta da Buzzati alla fine del 1958. Che, come già accaduto in precedenza con Carla Marchi, gli fa completamente perdere la testa. La storia d’amore, che si trascinerà fino alla fine del 1963, gli procura sofferenze e umiliazioni. È una malattia, dirà, che lo consuma dal profondo, per curare la quale non può che ricorrere alla scrittura. «L’unica, per salvarmi, è scrivere», annota su diario. «Raccontare tutto, far capire il sogno ultimo alla porta della vecchiaia. E nello stesso tempo lei, incarnazione del mondo proibito, falso, romanzesco e favoloso, ai confini del quale era sempre passato con disdegno e oscuro desiderio». Il romanzo, che va esaurito in pochi giorni, suscita accese polemiche: per il tema trattato, il linguaggio diretto, il carattere della storia. Si accusa Buzzati di avere tradito se stesso, di aver abbandonato le atmosfere fantastiche per un crudo realismo. Più volte l’autore sarà costretto a chiarire la propria posizione (e il romanzo), rassicurando i lettori di non essere cambiato, né di avere scelto altri argomenti per comodo o per moda. «Ho scritto questo romanzo perché non potevo fare a meno di scriverlo», spiegherà sulle colonne del Corriere della Sera». «E ci ho messo la stessa sincerità con cui scrissi “Il deserto dei Tartari” e forse ancora di più». Nel maggio dello stesso anno muore Arturo Brambilla. L’amico fraterno, l'inseparabile compagno di infanzia e adolescenza viene colto da embolia cerebrale durante una lezione al Liceo Berchet di Milano, dove insegna. Per Buzzati, che non lo frequentava più da anni, ma cui era sempre rimasto visceralmente legato, è un duro colpo che oltre a farlo sentire «un sopravvissuto» gli scatena rimorsi e sensi di colpa. Tra la fine del 1963 e l’inizio del 1965, Dino Buzzati compie diversi viaggi all’estero come inviato del «Corriere della Sera». In Giappone (ottobre-novembre 1963), a Gerusalemme, al seguito di Paolo IV (gennaio 1964), a New York e Washington (febbraio 1964), a Bombay, ancora con il Papa (dicembre 1964), a Praga (marzo 1965) e nuovamente a New York, sulle tracce della Pop Art (dicembre 1965). Sempre nel 1965 esce per Neri Pozza il suo primo libro di versi («Il capitano Pic e altre poesie») e alla Piccola Scala di Milano va in scena l’opera in un atto «Era proibito» terzo e ultimo lavoro realizzato con il compositore Luciano Chailly. Esce il film «Un amore» che Gianni Vernuccio ha tratto dal romanzo omonimo, con Rossano Brazzi nei panni di Antonio Dorigo e Agnès Spaak in quelli di Laide. L’anno successivo Dino Buzzati inizia la collaborazione con il regista Federico Fellini per il film «Il viaggio di G. Mastorna». La storia, ambientata nell’aldilà, trae ispirazione dal racconto di Buzzati «Lo strano viaggio di Domenico Molo» uscito su «La Lettura» e poi ripubblicato nella raccolta «I sette messaggeri» con il titolo «Il sortilegio», e racconta le vicende di un violoncellista inconsapevolmente morto in un incidente aereo che si trova a girare in un caotico e grottesco oltretomba. Fellini e Buzzati lavorano a distanza, il primo a Roma il secondo a Milano, incontrandosi saltuariamente. Ma il film, benché finito, non verrà mai girato. L’8 dicembre 1966 Dino Buzzati sposa Almerina Antoniazzi, professione modella, conosciuta nell’estate 1960 durante la lavorazione di un servizio fotografico per «La Domenica del Corriere». Lui ha appena compiuto sessant’anni, lei venticinque. Buzzati, che abita nella Casa della Fontana, lascia l’appartamento dove vive e si trasferisce con lei al decimo piano con le finestre affacciate sui giardini di piazza Cavour. Sarà la sua ultima abitazione. Nel 1967 arriva al cinema «Il fischio al naso», film ispirato alla pièce teatrale «Un caso clinico», diretto e interpretato da Ugo Tognazzi. Nello stesso anno assume l’incarico di critico d’arte per il «Corriere della Sera» al posto di Leonardo Borgese che lascia il giornale. Poiché non possiede una preparazione accademica specifica, ma si considera uno scrittore che si occupa di arte moderna con lo scopo di renderla chiara ai propri lettori, preferisce definirsi cronista d’arte. Ma la sua posizione non piace ai signori dell’arte che gli rinfacciano proprio la mancanza di studi adeguati e una sorta di conflitto di interessi (Buzzati continua infatti a tenere mostre di pittura, in quello stesso anno alla Galleria Cavour di Milano e alla Galleria La Pochade di Parigi). Ciononostante, due anni più tardi, nel 1969, vara, sempre sulle pagine del quotidiano di via Solferino, la pagina settimanale «Il mondo dell’arte» che seguirà fino agli ultimi mesi di vita. Nel 1969 pubblica anche il libro «Poema a fumetti», rivisitazione in chiave Pop Art del mito di Orfeo ed Euridice. L’opera, che anticipa coraggiosamente le future Graphic Novel, crea scompiglio e imbarazzo nel mondo editoriale per il suo carattere rivoluzionario a metà tra la letteratura e l’arte, e per l’erotismo esplicito delle tavole (208) che lo compongono, realizzate dallo stesso Buzzati. Ma come accaduto precedentemente per il romanzo «Un amore» il libro vende benissimo e vince addirittura la Targa d’oro per il miglior fumetto dell’anno, premio istituito da «Paese Sera». Nel settembre del 1970 si inaugura a Venezia, alla Galleria Naviglio, la mostra personale «I miracoli di una santa», nella quale Buzzati espone una serie di ex voto immaginari rivolti a Santa Rita da Cascia. Le tavole daranno vita al libro «I miracoli di Val Morel» pubblicato l’anno successivo da Garzanti, un volume che può essere considerato, insieme con la raccolta di racconti uscita poco dopo, «Le notti difficili», il suo ultimo libro. Sono infatti già comparsi i sintomi della malattia, un tumore al pancreas, che lo porterà a incontrare quella morte cantata e sfidata per tutta la vita, al centro anche del nuovo libro «Il reggimento parte all’alba» che resterà incompiuto e uscirà postumo, per le edizioni Frassinelli, nel 1985. L’8 dicembre 1971 appare sul «Corriere» il suo ultimo elzeviro «Alberi», e lo stesso giorno Dino Buzzati entra nella Clinica La Madonnina di Milano. Muore il 28 gennaio del nuovo anno, alle quattro e venti del pomeriggio, mentre Milano è avvolta da una bufera di neve che ha coperto tutta la città. Scriverà il giorno dopo sul «Corriere» l’amico Indro Montanelli: «Con Buzzati se ne va la voce del silenzio, se ne vanno le fate, le streghe, gli gnomi, i presagi, i fantasmi. Se ne va, dalla vita, il Mistero. E che ci resta?».