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LA VITA
Dino Buzzati e il suo migliore amico Arturo Brambilla, chiamato confidenzialmente Illa, si ritrovano a fare i compiti, avvicinandosi all'arte, alla letteratura, alla montagna. Si sfidano in gare di poesia e di disegno, si appassionano al mondo dell'antico Egitto al punto da inventare un linguaggio geroglifico che soltanto loro possono decifrare. Scoprono i grandi scrittori, Dostoevskij in testa, e l'illustratore inglese Arthur Rackham, il cui stile onirico e fantastico influenzerà profondamente le future atmosfere letterarie e artistiche di Buzzati, tanto da definirlo «uno dei più grandi artisti di questo secolo». E soprattutto iniziano un fitto scambio epistolare che proseguirà anche dopo la fine della scuola, oggi raccolto nel libro «Lettere a Brambilla». Nel 1920, dopo il trasferimento con la famiglia in piazza Castello, Buzzati, che ha 14 anni e frequenta la quarta ginnasio, perde il padre, colpito da un tumore al pancreas. Questa prematura scomparsa lo scuote profondamente mettendolo per la prima volta a diretto contatto con la morte la cui figura diventerà una presenza costante della sua vita di uomo e di scrittore. Nell’estate dello stesso anno compie le prime escursioni sulle Dolomiti e scrive «La canzone alle montagne», una prosa poetica, forse il suo primo testo letterario. Inizia anche a tenere un diario sul quale continuerà ad annotare pensieri, riflessioni, sfoghi fino a nove giorni prima della morte. Determinante per la sua formazione umana e letteraria durante gli anni del liceo è la figura di Luigi Castiglioni, il suo insegnante di latino e greco che, affermerà, «pur senza essere stato il mio professore di italiano si può dire che mi ha indirettamente insegnato a scrivere». Come determinanti sono anche le letture cui si dedica con passione: dopo le novelle di Grimm e le favole di Andersen scoperte nella fanciullezza, e il già citato Dostoevskij, legge Checov, Gogol e soprattutto Edgar Allan Poe e Hoffman, due autori che influiranno sul suo futuro di scrittore fantastico. Vi si affiancano Oscar Wilde, Robert Louis Stevenson, Joseph Conrad, Charles Dickens. E ancora: Kipling, Pascal, Stendhal, Flaubert, Thomas Mann e Arthur Schnitzler. Oltre naturalmente a Franz Kafka, cui nella carriera di scrittore verrà affiancato fino all’ossessione. «Kafka mi ha molto impressionato», dirà, «ma Tolstoj mi commuove». Nel 1924 finisce il liceo e dopo alcune riflessioni - le due facoltà in cima alle sue preferenze sono Lettere e Legge - si iscrive a Giurisprudenza alla Statale di Milano. Il suo obiettivo è fare il giornalista. Gli anni dell’università scorrono lisci, con soddisfazione. Buzzati dà gli esami regolarmente, con ottimi voti (tutti ventotto e trenta), e continua a dedicarsi alla montagna, alla pittura e alla scrittura. Il legame con Arturo Brambilla si fa ancora più stretto e profondo, tuttavia un’inquietudine generale lo accompagna in questo lungo periodo. La convinzione, e quindi il tormento, di aver già perso la possibilità di «combinare qualcosa di notevole», il crollo dell’ambizione e della caparbietà che lo avevano sempre spinto a eccellere, la noia nei confronti di giornate che si ripetono sempre uguali, divise tra lo studio e una quotidianità che gli va stretta (tutti temi che animeranno molti anni dopo il suo romanzo più famoso «Il deserto dei Tartari»). Nel 1926 si iscrive alla Scuola Allievi Ufficiali della caserma Teuliè di Milano e a settembre inizia il servizio militare, da cui verrà congedato un anno più tardi con il grado di sottotenente. Ha quasi ventun’anni e da quel momento la vita militare, con le sue regole, i suoi riti, la sua disciplina gli resterà sempre nel cuore, diventando parte della sua vita e ispirazione per la sua opera, da «Il deserto dei Tartari» al postumo «Il reggimento parte all’alba».